INTERVISTA A DORIAN
SdS, 14 maggio 2021
Presentiamo una intervista a Dorian Soru, un frate cappuccino sardo che, prima di diventare frate, ha studiato psicologia sociale e psicoterapia psicoanalitica ma, soprattutto, ha passato quasi 5 mesi ricoverato per la covid-19, arrivando più volte vicinissimo alla morte. Ciò che ci ha colpito è stato un suo commento dove raccontava che, mentre era in terapia intensiva ancora molto sofferente, rimaneva affascinato dalla tenerezza con cui un'infermiera si occupava del dolore di un'altra paziente, molto grave, ricoverata nell'area covid-19 della rianimazione. Questo sguardo che, invece di fermarsi del tutto su se stesso, era meravigliato e commosso alla vista di chi si occupava di qualcun altro, ci è parso bello indagarlo un po' meglio. Buona lettura.
Barbara, Denise, Domenico
Dorian-Inizialmente ero molto confuso, non capivo il limite tra verità e finzione, quanto si esagerasse e quanto no. Mi ha colpito molto la morte di due persone molto giovani che conoscevo. Mi sono accorto che è sempre più chiaro a me, anche solo da un punto di vista "laico", che si aprono più chiaramente di prima vari luoghi di trascendenza. Le mie azioni singole vanno, come effetti, al di là di me. Le azioni di un piccolo gruppo in Cina possono influenzare il mondo intero. L'egoismo o l'altruismo di alcuni può avere ripercussioni planetarie. Siamo proprio continuamente legati a un oltre rispetto a noi stessi, al nostro gruppo, alla nostra fede, alla nostra visione del mondo. È necessario, direi inevitabile, che ci apriamo costantemente l'uno all'altro. E poi ho pensato molto che tutto questo non è scontato, che è un dono e che ricevo di continuo molti doni e che nessuno è talmente povero da non avere neanche un sorriso da donare. Ognuno di noi può essere figlio o figlia del dono. Un'esperienza particolare è stata la polmonite da Sars-CoV-2 che mi ha portato a passare quasi due mesi in terapia intensiva.
D.R. -Nei giorni di in cui era in ospedale cosa è riuscito ad osservare intorno a sé ?
Dorian-Sono stati cinque mesi molto diversi tra di loro. C'è un'andata e un ritorno ma, soprattutto all'andata, non ero assolutamente consapevole del viaggio che mi attendeva. Tutto è partito da ciò che credevo fosse un'influenza banale, poi la febbre che non scendeva, la diagnosi di covid-19, la saturazione che scendeva e il ricovero. Lì le cose sono precipitate molto velocemente: dal ricovero in pronto soccorso mi sono ritrovato nel giro di pochi giorni (4-5 se non ricordo male) a sentire del mio trasferimenti in terapia intensiva. Quei giorni per me sono stati tra i più difficili. Tendenzialmente, per fede religiosa o per carattere, sono un complottista positivo, penso che tutto si risolverà al meglio. Però quel non sapere ciò che mi accadeva, le bugie benevole che mi venivano raccontate (del tipo: ti trasferiamo in terapia subintensiva non per forza perché vada peggio, ma perché ci sono strumenti in più per curarti), la claustrofobia dentro quel casco che mi inondava di 40 litri di ossigeno al minuto, le urla, i colpi per uscire da quella gabbia e nessuno che mi rispondeva (poi avrei scoperto che era il meglio che potessero fare, non potevano entrare ogni secondo e sono comunque loro grato ma, sai, il capire arriva dopo il vivere) sono stati terribili. Molto bello invece, dal risveglio dalla sedazione profonda in poi, in tutti i reparti. Ho un ricordo meraviglioso della rianimazione. Penso di non essere stato un caso facile, perché sono stato in condizioni critiche, non potevo muovere nulla, urlavo dal dolore appena mi toccavano. Ma mi sono sentito molto coccolato. Certamente sempre amato da Dio.
Dorian - La domanda è complessa e temo che la risposta sarà un po' più lunga delle altre. Mi è capitato di rifletterci durante la preparazione di un esame (di metafisica) ma non sono sicuro di ricordare bene. Rispondo quindi da un punto di vista personale. Per me, cattolico, credo ci sia continuità, ma anche differenza, tra trascendenza religiosa e laica. Trascendenza è un vivere che non mi faccio da solo, ché non ho di per sé "diritto" né ad essere né ad esistere, ma essere e ad esistere è un dono che mi ritrovo così, gratuito. E se è un dono, l'ho ricevuto da qualcun altro ed è per essere aperto a qualcun altro. D'accordo, nel mio caso da due genitori che, al di là della componente di piacere di ciascuno di loro, si sono aperti anche l'uno all'altra: sono andati oltre loro stessi. Ma a loro volta "si sono ricevuti". E così i modi possibili di trascendenza laica sono tanti. La bellezza, l'arte, l'amore. Lucia Fattori, una psicoanalista che lavora a Padova, scrive in un suo saggio sull'infinito di Leopardi che il "tra" in "tra questa immensità" potrebbe indicare una traduzione del francese "parmì": essere in mezzo a una molteplicità di elementi, ma facendo parte di questa folla, non essendo estranei. Ed è questa, mi pare, una possibile trascendenza "laica". Poi, io sono un appassionato del fondamento, altrimenti forse non sarei dove sono (né avrei studiato psicologia, prima). Se io sono un dono da parte di qualcun altro, anche la possibilità di esistere di chiunque lo considero come dono che viene da qualcun altro, che si comunica, anche molto diverso da me. E quindi, è un discorso vecchio almeno otto secoli, intravvedo Dio, che non nega l'umano ma anzi, lo attira con amore verso una perfezione sempre maggiore, oltre se stesso. Però per certi versi è, secondo me, anche inconciliabile con una prospettiva totalmente laica. Non mi pare, almeno per la mia esperienza, che sia la stessa cosa vivere alla presenza di un Dio che è (anche) trascendente, ma che si è incarnato fino alla parte più dolorosa dell'umano.
D.R.-Cosa pensa della filosofia come materia di studio per i giovani dell'età scolare?
D.R.- Lei dice in un breve passaggio "..ricordo la pace quando ero da solo in stanza e riuscivo a spegnerla..." . È un sottile richiamo alla necessità, talvolta, di isolarsi, di vivere la propria solitudine. Perché la gente ha paura della solitudine? Perché non è capace di disconnettersi dalla rete della virtualità? È un falso problema?