«Ho
incontrato Denise Vacca in un caldissimo pomeriggio dell'estate del
2017»
racconta il giornalista,
parlando del primo incontro con uno dei membri della Società dei
Sogni. «Era
seduta in platea in un convegno, da me organizzato, sul
tema del fine vita.
Insieme a compagni di liceo e ai suoi compagni di militanza politica,
avevo fondato un'Associazione intitolata a Walter
Piludu,
mio amico di una vita, colpito dalla Sclerosi laterale amiotrofica.
Dopo aver convissuto con la Sla
per cinque anni, Walter, ormai totalmente bloccato, impossibilitato
persino a manifestare il suo affetto alle persone a lui care, aveva
ottenuto nel novembre del 2016 dal tribunale di Cagliari di potersene
andare senza ulteriore accanimento terapeutico.
Ma soltanto a dicembre del 2017 il Parlamento ha varato la legge da
lui richiesta, quella sulle Dat,
disposizioni anticipate di trattamento, che consente a un malato
grave di scegliere quando andarsene. Una
scelta di libertà.
In quel pomeriggio di agosto eravamo in tanti a chiedere il varo
della legge, impropriamente chiamata testamento biologico. Poi ci
siamo rivisti in altri convegni, stavolta organizzati da medici
palliativisti.»
Poi,
nel 2019, i fantastici tre creano - dopo essersi più volte
confrontati su quelle che sarebbero diventate le basi
dell'associazione - la Società e scelgono proprio lui come
Presidente
Onorario.
«Una
grande gioia»
spiega Ghirra «e
non soltanto per il fatto in sé, ma per aver trovato tre
persone davvero fantastiche.
Ognuno con le sue caratteristiche, Denise, Barbara e Domenico hanno
il coraggio di esprimere e praticare idee e sentimenti
tradizionalmente relegati nella sfera del privato, ponendo al centro
le persone, soprattutto quelle più fragili.»
Un
desiderio forte, quello di Vacca,
Corrias e Renna:
la medicina deve tornare ad essere un'arte umanistica, urlano a
gran voce. "Se
si cura una malattia, si vince o si perde; ma se si cura una persona,
vi garantisco che si vince, si vince sempre, qualunque sia l'esito
della terapia" recitava una frase di un famoso film che pare uscita
dalla loro stessa bocca.
«È
fondamentale una svolta
nel rapporto fra medici e pazienti,
un tema venuto fuori in modo drammatico nell'ultimo anno a causa
dell'imperversare della pandemia da Covid-19»
precisa Giancarlo Ghirra. «La
vecchia
concezione del medico stregone
che in modo autoritario dispone della vita del paziente (e di chi sta
intorno) deve lasciare
il passo a un rapporto prima di tutto umano.
I cristiani dicono carità, i laici dicono prendersi cura, farsi
carico dei problemi di chi non sta bene.»
«L'espressione
artistica consente all'uomo di realizzare
una vita più piena e ricca della pura animalità»
continua il giornalista, mettendo in risalto l'importanza
dell'arte come modo per alleggerire una situazione, quella della
malattia, oppressiva e debilitante.
«La
musica, il canto, la danza, le arti figurative, dai graffiti più
elementari alla computer art, consentono anche a chi è seriamente
malato di librarsi
al di sopra delle sue sofferenze.
L'ho visto con i miei occhi durante gli incontri realizzati dalla
Società dei sogni in luoghi di cura.»
Arte
come leggerezza, evasione, aiuto
- per mente e corpo. Ma
non,
come precisa Ghirra, "leggerezza
assoluta",
«soprattutto
davanti a patologie molto gravi».
Sarebbe impossibile, del resto, cancellare del tutto il dolore.
Attenuarlo? È possibile? Sì, per chi lo prova e per chi, accanto a
lui, vede la sofferenza senza poterla lenire in alcun modo.
«Certamente
arte e filosofia possono aiutare i malati e chi li assiste, chi sta
loro vicino, a vivere una vita sicuramente faticosa ma anche
potenzialmente
ricca di scoperte e stimoli.»
Ma
in che modo arte e filosofia possono aiutare un individuo malato a
superare le barriere (per usare le parole del professor Renna) del
proprio stato, aiutandolo a guardare ogni situazione con occhi nuovi?
«Mi
viene in mente la lapide di George
Gray nella Antologia di Spoon river di Edgard Lee Masters.
Vi si legge fra le altre cose: "Dare un senso alla vita può
condurre a follia, ma una vita senza senso è la tortura
dell'inquietudine e del vano desiderio. È una barca che anela al
mare eppure lo teme." Qui finisce la citazione, ma inizia la
riflessione sul senso della vita quando si è ancora più fragili,
quando si è ammalati. Sono
convinto»
continua
Ghirra
«che
il
sostegno dell'arte, come quello della filosofia, possano fare la
differenza.»
Si
dice che dopo la tempesta arrivi sempre il sereno. Si dice anche che
ciò che non uccide fortifichi. Di fatto, è credenza comune che le
cadute ci rendano più forti. Questo pensare che la debolezza porti
alla forza toglie alla prima il suo stigma negativo, elevandola a
condizione quasi necessaria per crescere. «Chi
ha molto sofferto diventa spesso più forte, in grado di affrontare
l'esistenza con le sue difficoltà quotidiane schivando
depressione, ansia, malinconia»
è il pensiero del giornalista. «Il
problema è trattare sempre gli uomini come un fine,
non come un mezzo".
Viene
infine in mente di chiedersi se e come il giornalismo possa
contribuire in questo lavoro di umanizzazione
del paziente.
«Il
giornalismo dovrebbe combattere la medicina mercantile,
tesa prevalentemente a fare profitto, e battersi per una sanità
diffusa nel territorio, centrata sulla prevenzione, sull'affermazione
di corretti stili di vita»
chiarifica.
«Negli
ultimi decenni la medicina pubblica è stata smantellata per lasciar
posto a una medicina privata che, teorizzando quasi un'improbabile
onnipotenza, si è proposta di sconfiggere i mali peggiori.
Contemporaneamente è stata rimossa l'idea stessa della morte, che
pure chiama in causa ciascuno di noi sin dal momento in cui nasciamo.
Occorre
riscoprire la nostra fragilità, una fragilità gioiosa, ma non
infinita.»
«L'editoria
non morirà, la comunicazione
fra esseri umani è indispensabile.
La questione è se possa esistere un'informazione
professionale di qualità, retribuita e affidabile»
conclude Ghirra, di fronte a una domanda sul futuro, per alcuni
incerto, del mondo editoriale. «Nel
web gira di tutto, ma chi garantisce l'affidabilità delle notizie,
chi controlla le fonti, chi sbugiarda le fake news? Questo dovrebbe
essere il compito del giornalista
di professione,
preparato dopo studio e, in parallelo, praticantato sul campo. Questo
dovrebbe essere il compito
di editori che investono denaro per produrre organi di informazione,
su carta, tv, radio, web.
Non vedo molti mecenati in campo impegnati a sostenere il giornalismo
d'inchiesta, ma so che senza un giornalismo serio e rigoroso i
sistemi democratici, già in grave crisi in tutto il pianeta,
rischiano di soffrire ancora di più.
C'è
il rischio che i giganti del web, già padroni della pubblicità,
abituati a non pagare le tasse e a sfuggire alle regole dei governi
nazionali, debordino diventando ancora più potenti. Penso che la
questione dell'informazione sia oggi centrale per l'umanità
aggredita da pandemie e rischi autoritari quanto l'emergenza
climatica e sanitaria. Ma resto ottimista, perché l'informazione
corretta e professionale è indispensabile. E alla fine la qualità
riuscirà a farsi strada.»